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Riflessione sul (mio) matrimonio

Sì, lo voglio. Tre parole, tre, che per molti hanno significato la tumulazione della propria libertà e che, al contrario, per il sottoscritto rappresentano la chiusura del cerchio. Il tre, d’altra parte, è sempre stato il mio numero, quindi non poteva che dirmi bene. Non ci credete? Vi do un altro indizio: il giorno che abbiamo scelto per sposarci ricorreva il nostro terzo anniversario. Tre anni, caspita come vola il tempo! Infine, a sancire la mia teoria, ecco il terzo indizio, ovvero che all’altare non eravamo in due, ma in tre. Già, perché insieme a me ed Irene c’era anche la nostra Vittoria Amelia, che non si è accontentata di assistere all’unione di mamma e papà dalle retrovie, nossignore, ha voluto stare lì con noi a tutti i costi, pena l’interruzione della cerimonia per eccesso di pianti e lamenti sugli spalti. Non due ma tre sposi, quindi.

Al netto della cabala, il concetto che più mi preme condividere con voi in questa bella circostanza è quello relativo alla ricerca della felicità di fronte alla quale, nonostante i momenti bui che inevitabilmente attraversano l’esistenza di ognuno, non dobbiamo mai desistere. Dico mai, nemmeno quando tutto sembra perduto e quelli che abbiamo dinnanzi più che ostacoli, ci appaiono come cime insormontabili.

Retorica, dirà qualcuno, tigna, rispondo io. Certo, mi rendo conto che in talune situazioni sia assai più comodo ricorrere all’autocommiserazione piuttosto che lavorare alacremente sui nostri difetti, lo dico per esperienza.

Altro principio che ritengo fondamentale, che sta alla base di un passo importante come il matrimonio, è l’impegno. Nei confronti della persona con la quale scegliamo di condividere il nostro cammino, ma anche di quelli dei nostri figli. Intendiamoci, mai e poi mai mi permetterei di giudicare coloro che compiono scelte diverse, ma personalmente sono convinto che impegnarsi anche di fronte alla legge ad essere un buon coniuge ed un buon genitore sia non soltanto giusto, ma sacrosanto.

A maggior ragione per noi, che siamo figli di un tempo per molti versi bastardo che privilegia i disvalori a scapito dei valori, producendo una serie di effetti collaterali tra i quali l’arte di scaricare su altri colpe e responsabilità.

Un impegno, dunque, che è sostanza ma anche forma; cuore ma anche testa. Già, perché il fatto che mettere su famiglia è un diritto non significa che sia un gioco, soprattutto per quanto riguarda l’avvenire dei figli che decidiamo di mettere al mondo, che non piove dal cielo, ma si costruisce giorno per giorno, insieme. Uno per tutti, tutti per uno.

 

Alessandro Nardone – @alenardone

 

PS: Grazie Irene, in fondo al mio cuore lo sapevo che c’eri, da qualche parte dell’Universo!

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